Dicembre 19, 2019

MILITEM, la sua visione, la sua storia ed il suo futuro raccontati in un intervista a Hermes Cavarzan

Auto
MILITEM, la sua visione, la sua storia ed il suo futuro raccontati in un intervista a Hermes Cavarzan

Hermes Cavarzan e il sogno americano realizzato: «Le mie jeep made in Brianza»

Da bambino sognava a occhi aperti davanti alla Mustang di suo zio e alle auto americane del papà. Nel 2017 ha fondato il marchio Militem: le sue sono elaborazioni di lusso dei suv Jeep, rivisti con il gusto e l’eleganza italiana.

Certe visioni nascono da bambini. Per Hermes Cavarzan, che sognava a occhi aperti quando era ancora ragazzino davanti alla Mustang di suo zio e alle auto americane del papà, è stato così. Da allora, l’imprenditore milanese il sogno dei veicoli made in Usa non se lo è mai levato, nonostante la vita, gli interessi e gli studi sembrava lo portassero altrove. La sua intuizione, ora che taglia i 40 anni di attività nel mondo dell’auto, è stata unire meccanica e Dna delle vetture americane con il design, il gusto e l’eleganza italiana.

Il risultato è racchiuso da una stella che sormonta la «M» di Militem, marchio registrato che identifica i modelli Ferox, Hero, e Magnum. Elaborazioni di lusso dei suv Jeep (Wrangler e Renegade) e del pick up Ram 1500. È bene chiarire subito: non sono auto per chi vuole passare inosservato. Ma neanche mezzi concepiti e realizzati una tantum, per soddisfare il capriccio di qualche milionario eccentrico. Sono modelli fabbricati in serie limitata. Dietro, una lunga gestazione, fatta di studi di marketing, di progetti scartati, di ore passate a studiare nel quartier generale di Monza (Militem è una divisione della quarantennale Cavauto), del lavoro di una squadra di operai altamente specializzata nel capannone di Erba dove le auto prendono forma.

Piacciono a imprenditori, industriali, avvocati, professionisti, gente dello spettacolo e dello sport, ma i più curiosi si rassegnino perché la politica aziendale interna impone «massimo riserbo sui nomi». Piacciono anche a russi e ad americani. Ma le Militem («Dal latino “cavaliere”, l’esercito non c’entra»), alla fine, sono un’idea di Hermes Cavarzan, ceo di Cavauto, il primo a importare in Italia le mega jeep Hummer. Comasco di nascita, milanese di adozione e formazione, il suo gruppo nasce nel 1980 a Cantù, come concessionario Jeep e Saab. A fianco a lui, oggi, c’è suo figlio Riccardo, responsabile commerciale e del settore sviluppo auto, 33 anni, e un piglio serio da manager navigato che fa un passo per volta, ma sa dove vuole arrivare con un progetto.

«Ho sempre avuto un debole per le automobili americane —racconta Cavarzan —, le ho sempre trovate all’avanguardia per la tecnologia, sono state le prime ad avere l’aria condizionata, gli alzacristalli elettrici, già dagli anni Cinquanta, sono confortevoli perché sono concepite per affrontare lunghe distanze, sono una specie di seconda casa, sono fatte per far stare comodi chi guida e chi viene accompagnato, sono spaziose, per farci stare i propri bagagli». Poi, la domanda: cosa manca a queste vetture?. La risposta non ha tardato ad arrivare: «L’eleganza, il design, la cura e l’attenzione verso i dettagli, lo stile, ma non solo». L’idea è stata di abbellire anche la carrozzeria, e arricchire la ciclistica, rialzare le ruote, applicare nuovi componenti, tutti rigorosamente made in Italy, «i migliori al mondo». È come creare «un vestito su misura, in cui il cliente sceglie, in questo caso, i rivestimenti interni e altro, ma si tratta comunque di modelli prodotti in serie».

L’ingresso sul mercato risale al 2017 e la prospettiva è di allargare la produzione, puntando all’inizio al mercato interno, e anche di favorire l’occupazione giovanile. «Per lavorare a queste auto c’è bisogno di creare operai specializzati, che non siano solo carrozzieri o meccanici: per questo abbiamo pensato di formare dei giovani, che siano però particolarmente capaci. Abbiamo deciso di rivolgerci agli istituti professionali di Lecco e Como». Per Cavarazan, Militem rappresenta comunque «una visione», anche se il suo destino doveva essere un altro: «La mia altra passione sono i cavalli, studiavo Scienze animali, poi d’estate mio padre, piuttosto che vedermi in giro per tre mesi a bighellonare in motocicletta, mi mandò a fare un po’ di pratica da un amico di famiglia che aveva un autosalone. Non sono più uscito da questo mondo, ma in fondo auto e cavalli hanno una cosa in comune: la velocità».

Articolo completo di Federico Berni qui

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